DI
CESARE DE SILVESTRI
Il termine è relativamente nuovo, ma anche nel corso di questo breve tempo è stato man mano applicato a contesti piuttosto diversi da quello originario. Venne infatti usato da Konrad Lorenz e poi da altri etologi per descrivere i comportamenti di gruppo negli animali - tra cui quelli di allarme, di evitamento, di fuga, ed anche quelli aggressivi di tanti piccoli animali contro uno più grosso. In quest'ultima accezione, il termine è stato applicato da Heinemann e Olweus al comportamento di gruppi di bambini e poi di adolescenti che si coalizzano contro un coetaneo (fenomeno chiamato anche "bullying" nel Regno Unito e in Australia). E infine approdato con Leymann a descrivere l'emarginazione, i soprusi, le molestie o la vera e propria persecuzione a danno di un adulto da parte di un altro adulto o di un gruppo di adulti nell'ambito dell'ambiente di lavoro o più semplicemente in un contesto sociale.
Roba vecchia
Sì, gli scienziati sono finalmente arrivati a prenderla in considerazione, ma la pratica è molto antica. Probabilmente quanto i primissimi raggruppamenti umani. Io, per esempio, l'ho vista all'opera sin da quando ero ragazzo e non conoscevo ancora né Lorenz né gli altri autori citati sopra. Va però detto che sono cresciuto per parecchi anni in Toscana, dove è facile passare dalla benevola presa in giro (che è, si può dire, pane quotidiano in un gruppo di amici), a quella meno benevola e più aggressiva condotta collettivamente contro un malcapitato, prendendo di mira un suo qualche difetto o debolezza (talvolta inesistenti), rendendolo lo zimbello del gruppo, e giungendo non di rado a livelli di vera e propria crudele tortura psicologica.
Quando va bene
La difesa più efficace è naturalmente quella di non dimostrare dispiacere, fastidio, malumore o cruccio, sin dalle prime battute di uno scherzo che minaccia di divenire più pungente. E siccome è facilissimo che questo accada, e siccome prima o poi capita ad ogni membro del gruppo di divenire la vittima designata di un tentativo del genere, un atteggiamento di noncuranza e quasi di divertita partecipazione alle battute più azzeccate rappresenta il miglior modo di smontare l'intenzione più o meno malevola del gruppo. In realtà, l'intenzione del gruppo non è sempre propriamente malevola. Spesso si tratta piuttosto di una specie di cimento - qualcosa come un esame, una prova delle armi - per vedere se la vittima designata è capace di resistere alla pressione apparentemente ostile del gruppo invece di cedere e crollare. E infatti, al minimo segno di disagio o sofferenza, la pressione del gruppo aumenta, si fa più acuta ed insistente, talvolta diviene veramente malevola, e la vittima continuerà a subirla per un tempo imprevedibile. Chi è cresciuto a questa scuola conosce quindi molto bene il mobbing (o bullying) e sa come prenderlo sottogamba, spuntarlo e magari rovesciarlo a spese di chi ha iniziato il gioco. Anche quando fosse dettato da intenzioni seriamente ostili, persecutorie, calunniose o peggio. Un altro vantaggio di coloro che vengono presi di mira è rappresentato dal fatto che chi vorrebbe esercitare un'efficace manovra di mobbing contro qualcuno, per esempio nell'ambiente di lavoro, di solito non sa bene come farlo. Ne ha sentito parlare in astratto, forse ha letto qualcosa sull'argomento, ma non ne ha esperienza di prima mano. Avrebbe bisogno di uno spunto realistico e può soltanto inventarselo o ingigantire slealmente un qualsiasi pretesto. Avrebbe bisogno di complici e non ne trova o ne trova soltanto qualcuno poco o punto affidabile. Avrebbe bisogno di un piano coordinato e sistematico e si deve invece limitare a piccoli, sporadici tentativi d'interferenza simili a dispetti da parrocchia.
Quando va male
Qualche volta, però, capita che il malcapitato venga preso di mira da un esperto. Si può trattare di un toscano cresciuto alla scuola che dicevo sopra e che conosce per esperienza diretta la strategia e la tecnica della persecuzione. Si può trattare di un ex alunno di collegi o scuole clericali, specie gesuitiche, dove si pratica con gusto e raffinatezza il sistema di "rendere la vita impossibile" ad un compagno giudicato inviso per qualche motivo. E talvolta l'esempio più istruttivo viene da come si fanno la guerra gli stessi insegnanti, sacerdoti e preti. In questi casi, se la vittima non è altrettanto esperta del persecutore o dei persecutori, l'unica risorsa disponibile - sa la si conosce e la si possiede - è quella di far ricorso al senso dell'umorismo. Voglio dire che se uno si trova in un'obiettiva posizione d'inferiorità - se è per esempio, il dipendente più o meno volontario di un padrone dispotico e astioso che cerca di fargli il vuoto intorno per costringerlo ad allontanarsi - il senso dell'umorismo e l'umorismo che la vittima riesce a produrre sono le armi più potenti che possono usare contro la prevaricazione, l'oppressione e la persecuzione. Certo, il malcapitato se ne potrebbe andare e mandare il padrone a quel paese. Quest'ultimo non si meriterebbe altro. Però, così facendo, cadrebbe nel suo gioco e gli darebbe partita vinta. Se la vittima vuole invece restare e accettare questa sfida sleale e un po' vigliacca, può ricorrere appunto all'umorismo e scrollare le spalle alle sue dirette, indirette o ipocrite provocazioni. In una parola, può decidere di non prenderlo sul serio. Se infatti tu prendi sul serio chi ti prevarica, t'opprime o ti perseguita, corri il rischio di finire con l'accettare ed adottare il giudizio, la valutazione che lui ha di te. In altre parole, potresti finire col vedere te stesso attraverso i suoi occhi e sentirti responsabile o colpevole di come vieni considerato. Insomma, se lo prendi sul serio, lui può riuscire a schiacciarti, spezzarti e distruggerti. Se invece sei capace di ridere di lui, di vedere la sua vanità e l'inconsistenza delle sue pretese di superiorità ; se ti rendi conto della sua slealtà e vigliaccheria, delle sue contraddizioni, della sua disonestà e malafede, l'umorismo ti renderà più difeso, più forte, più tenace, più resistente. E allora la vittoria, o almeno il mantenimento del tuo equilibrio emotivo e della tua posizione, diviene possibile.
CESARE DE SILVESTRI
Il termine è relativamente nuovo, ma anche nel corso di questo breve tempo è stato man mano applicato a contesti piuttosto diversi da quello originario. Venne infatti usato da Konrad Lorenz e poi da altri etologi per descrivere i comportamenti di gruppo negli animali - tra cui quelli di allarme, di evitamento, di fuga, ed anche quelli aggressivi di tanti piccoli animali contro uno più grosso. In quest'ultima accezione, il termine è stato applicato da Heinemann e Olweus al comportamento di gruppi di bambini e poi di adolescenti che si coalizzano contro un coetaneo (fenomeno chiamato anche "bullying" nel Regno Unito e in Australia). E infine approdato con Leymann a descrivere l'emarginazione, i soprusi, le molestie o la vera e propria persecuzione a danno di un adulto da parte di un altro adulto o di un gruppo di adulti nell'ambito dell'ambiente di lavoro o più semplicemente in un contesto sociale.
Roba vecchia
Sì, gli scienziati sono finalmente arrivati a prenderla in considerazione, ma la pratica è molto antica. Probabilmente quanto i primissimi raggruppamenti umani. Io, per esempio, l'ho vista all'opera sin da quando ero ragazzo e non conoscevo ancora né Lorenz né gli altri autori citati sopra. Va però detto che sono cresciuto per parecchi anni in Toscana, dove è facile passare dalla benevola presa in giro (che è, si può dire, pane quotidiano in un gruppo di amici), a quella meno benevola e più aggressiva condotta collettivamente contro un malcapitato, prendendo di mira un suo qualche difetto o debolezza (talvolta inesistenti), rendendolo lo zimbello del gruppo, e giungendo non di rado a livelli di vera e propria crudele tortura psicologica.
Quando va bene
La difesa più efficace è naturalmente quella di non dimostrare dispiacere, fastidio, malumore o cruccio, sin dalle prime battute di uno scherzo che minaccia di divenire più pungente. E siccome è facilissimo che questo accada, e siccome prima o poi capita ad ogni membro del gruppo di divenire la vittima designata di un tentativo del genere, un atteggiamento di noncuranza e quasi di divertita partecipazione alle battute più azzeccate rappresenta il miglior modo di smontare l'intenzione più o meno malevola del gruppo. In realtà, l'intenzione del gruppo non è sempre propriamente malevola. Spesso si tratta piuttosto di una specie di cimento - qualcosa come un esame, una prova delle armi - per vedere se la vittima designata è capace di resistere alla pressione apparentemente ostile del gruppo invece di cedere e crollare. E infatti, al minimo segno di disagio o sofferenza, la pressione del gruppo aumenta, si fa più acuta ed insistente, talvolta diviene veramente malevola, e la vittima continuerà a subirla per un tempo imprevedibile. Chi è cresciuto a questa scuola conosce quindi molto bene il mobbing (o bullying) e sa come prenderlo sottogamba, spuntarlo e magari rovesciarlo a spese di chi ha iniziato il gioco. Anche quando fosse dettato da intenzioni seriamente ostili, persecutorie, calunniose o peggio. Un altro vantaggio di coloro che vengono presi di mira è rappresentato dal fatto che chi vorrebbe esercitare un'efficace manovra di mobbing contro qualcuno, per esempio nell'ambiente di lavoro, di solito non sa bene come farlo. Ne ha sentito parlare in astratto, forse ha letto qualcosa sull'argomento, ma non ne ha esperienza di prima mano. Avrebbe bisogno di uno spunto realistico e può soltanto inventarselo o ingigantire slealmente un qualsiasi pretesto. Avrebbe bisogno di complici e non ne trova o ne trova soltanto qualcuno poco o punto affidabile. Avrebbe bisogno di un piano coordinato e sistematico e si deve invece limitare a piccoli, sporadici tentativi d'interferenza simili a dispetti da parrocchia.
Quando va male
Qualche volta, però, capita che il malcapitato venga preso di mira da un esperto. Si può trattare di un toscano cresciuto alla scuola che dicevo sopra e che conosce per esperienza diretta la strategia e la tecnica della persecuzione. Si può trattare di un ex alunno di collegi o scuole clericali, specie gesuitiche, dove si pratica con gusto e raffinatezza il sistema di "rendere la vita impossibile" ad un compagno giudicato inviso per qualche motivo. E talvolta l'esempio più istruttivo viene da come si fanno la guerra gli stessi insegnanti, sacerdoti e preti. In questi casi, se la vittima non è altrettanto esperta del persecutore o dei persecutori, l'unica risorsa disponibile - sa la si conosce e la si possiede - è quella di far ricorso al senso dell'umorismo. Voglio dire che se uno si trova in un'obiettiva posizione d'inferiorità - se è per esempio, il dipendente più o meno volontario di un padrone dispotico e astioso che cerca di fargli il vuoto intorno per costringerlo ad allontanarsi - il senso dell'umorismo e l'umorismo che la vittima riesce a produrre sono le armi più potenti che possono usare contro la prevaricazione, l'oppressione e la persecuzione. Certo, il malcapitato se ne potrebbe andare e mandare il padrone a quel paese. Quest'ultimo non si meriterebbe altro. Però, così facendo, cadrebbe nel suo gioco e gli darebbe partita vinta. Se la vittima vuole invece restare e accettare questa sfida sleale e un po' vigliacca, può ricorrere appunto all'umorismo e scrollare le spalle alle sue dirette, indirette o ipocrite provocazioni. In una parola, può decidere di non prenderlo sul serio. Se infatti tu prendi sul serio chi ti prevarica, t'opprime o ti perseguita, corri il rischio di finire con l'accettare ed adottare il giudizio, la valutazione che lui ha di te. In altre parole, potresti finire col vedere te stesso attraverso i suoi occhi e sentirti responsabile o colpevole di come vieni considerato. Insomma, se lo prendi sul serio, lui può riuscire a schiacciarti, spezzarti e distruggerti. Se invece sei capace di ridere di lui, di vedere la sua vanità e l'inconsistenza delle sue pretese di superiorità ; se ti rendi conto della sua slealtà e vigliaccheria, delle sue contraddizioni, della sua disonestà e malafede, l'umorismo ti renderà più difeso, più forte, più tenace, più resistente. E allora la vittoria, o almeno il mantenimento del tuo equilibrio emotivo e della tua posizione, diviene possibile.
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